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Una poltrona per due, che frena l'Europa

Mentre l’Europa cerca un colpevole per l’incidente diplomatico del sofagate, perde di vista l’importanza di far fronte comune.



Dopo mesi di disaccordi su un numero sempre crescente di questioni – Libia, Siria, flussi migratori, i rapporti con Mosca, etc. – l’incontro di martedì tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e i presidenti della Commissione Ursula von der Leyen e del Consiglio Europeo Charles Michel era stato annunciato in pompa magna. Come dichiarato dalla stessa von del Leyen, l’incontro mirava infatti a dare nuovo slancio ai rapporti tra UE e Turchia, anche grazie alle circostanze favorevoli che avevano prodotto un riavvicinamento. Con l’elezione del nuovo presidente USA, la crisi della lira turca ed il calo dei consensi, Erdogan sembrava finalmente pronto ad una distensione dei rapporti con l’Europa nel tentativo di rafforzare la credibilità economica del suo paese, liberandolo dall’isolazionismo internazionale.

Dal canto suo l’Europa è sempre stata consapevole della rilevanza del ruolo di Ankara nella gestione dei flussi migratori e della stabilizzazione del Mediterraneo. Il vertice rappresentava l’occasione di rilanciare finalmente i rapporti con la Turchia, aprendo un dialogo su temi di comune interesse.


Un’occasione mancata, dunque, quella che è stata prontamente ribattezzata dai media come “sofagate”. Il video dell’incontro, diventato virale su internet, mostra l’imbarazzo della presidente von del Leyen, lasciata in piedi senza una sedia, mentre il collega Charles Michel prende posto alla destra del padrone di casa, sotto le bandiere di rappresentanza. Dopo pochi attimi di esitazione la presidente dell’esecutivo viene fatta accomodare su un divano laterale, di fronte a quello riservato al Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu.

L’incidente ha generato numerosissime critiche, anche negli ambienti diplomatici e istituzionali. Alcuni hanno letto nell’accaduto una precisa strategia messa in campo da Erdogan che, lungi dall’essere paladino della parità di genere, aveva da poco deciso di ritirare la Turchia dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione della violenza contro donne e bambini.


Eppure la presenza del Ministro turco rende l’accusa di sessismo meno credibile, descrivendo forse una scelta fatta non in base ad una logica di genere, ma di potere e grado istituzionale. Il protocollo del cerimoniale diplomatico turco prevede infatti che alla destra del presidente Erdogan sieda il capo della delegazione ospite che, nel caso specifico, era appunto il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel.

Convenzionalmente però si era sempre riservato lo stesso trattamento anche al capo della Commissione Europea, in segno di cortesia. Come chiarito anche dal portavoce della Commissione Europea Eric Mamer, in termini di protocollo “i presidenti della Commissione e del Consiglio Europeo sono trattati nello stesso modo”. Per tale ragione non sono state risparmiate critiche agli uffici protocollari dell’UE, accusati di non aver saputo prevenire l’incidente.


Dal canto suo il Governo turco definisce le accuse come ingiustificate, sottolineando che non era stata fatta nessuna richiesta di modifica al protocollo standard da parte dell’UE e, come ricordato dal Ministro degli Esteri, in passato la Turchia ha sempre accolto le richieste europee in tal senso. Anche il quotidiano turco Daily Sabah riporta la versione ufficiale del Governo e di come la disposizione delle sedute fosse stata preventivamente concordata con i responsabili europei, indicati come gli unici da incolpare di eventuali errori.


Incidente di protocollo o meno, l’episodio ha messo in luce le fragilità interne dell’Unione Europea. Il primo a finire nell’occhio del ciclone è stato proprio il presidente Michel, accusato di non aver saputo tener testa ad Erdogan, magari con un gesto di galanteria, cedendo la sedia alla von del Leyen.


Michel si è dichiarato estremamente dispiaciuto sia per quanto accaduto alla presidente della Commissione sia per l’inevitabile offuscamento che l’episodio ha generato sulla sostanza dell’incontro. Non a caso, sui principali media nazionali, poco o nulla si è discusso in merito alle questioni trattate durante il meeting.

Il presidente del Consiglio Europeo ha inoltre chiarito come, nei pochi istanti a sua disposizione per decidere sul da farsi, abbia considerato i possibili effetti di una risposta aggressiva sul lavoro diplomatico svolto per arrivare all’incontro, nonché sul paternalismo intrinseco in un qualsiasi gesto di protezione nei confronti della von del Leyen. Eppure, a poche ore dalla diffusione del video, oltre alle critiche sono arrivate richieste di dimissione del presidente del Consiglio da parte di alcuni europarlamentari italiani.


Non ha avuto paura di schierarsi neppure il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, che ha commentato l’accaduto definendo pubblicamente Erdogan “un dittatore”, seguito dal presidente del Partito Popolare Europeo Manfred Weber, il quale ha sottolineato quanto la Turchia si sia recentemente allontanata dallo stato di diritto e dall’idea di paese libero.

Parole forse inusuali per la politica occidentale, troppo spesso trincerata dietro eleganti retoriche. Neppure Germania e Francia hanno azzardato messaggi di solidarietà, preferendo la via del silenzio, forse giustificabile dagli interessi geopolitici di Macron e la sensibilità della comunità turca in Germania.


Di certo la débâcle diplomatica di Ankara ha avuto come effetto – desiderato o casuale – di portare all’attenzione dalla comunità internazionale le rivalità interne all’Unione in materia di politica estera. Nonostante i Trattati definiscano chiaramente come tali competenze debbano essere condivise con gli organi sovranazionali dell’Unione, la vera forza decisionale resta ancora prevalentemente concentrata nelle mani degli Stati. La competizione tra gli staff di Commissione e Consiglio, nonché la tutela dei reciproci interessi, è però destinata a creare contrasti sistematici.


In termini di comunicazione politica, l’episodio della sedia mancante ha contribuito a spostare l’attenzione dalla sostanza dell’incontro all’incapacità europea di far fronte comune nella gestione delle crisi. Questo espone l’Unione alle prepotenze non solo della Turchia, ma di chiunque cerchi di trarre profitto da queste divisioni interne. Di fatto, se le difficoltà con Budapest e Varsavia avevano già messo in luce questo tema, ora che la questione si è spostata fuori dai confini dell’Unione, è l’intero sistema a essere messo in dubbio. Di fatto, un’Europa che vuol sedere al tavolo delle grandi potenze geopolitiche, continuerà a chiedersi quale sia la sua sedia finché non imparerà a parlare con un’unica voce.

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