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Rubinetti d’oro: rischi e vantaggi della quotazione dell’acqua

Nasce il primo contratto future sull’acqua, come strumento di risk management, trasformando il bene più prezioso al mondo in una commodity quotata in borsa.



Nel 2005 Erwin Wagenhofer realizzò il documentario “We Feed The World” in cui si analizzavano i meccanismi di produzione di massa del cibo e il tipo di impatto che questa industria globalizzata aveva sull’ambiente e sulla vita delle persone. Tra i vari personaggi intervistati da Wagenhofer, compariva anche Peter Brabeck-Letmathe, allora Presidente del gruppo Nestlé. Nel video Brabeck afferma che in merito alla questione di privatizzazione dell’acqua esistono ad oggi due diversi approcci: da un lato quello di chi sostiene che, in quanto prodotto alimentare, anche l’acqua dovrebbe avere un valore di mercato, dall’altro quello di chi considera l’acqua un diritto pubblico. L’ex CEO aveva allora indicato questa seconda visione come “estrema”, ma le sue parole vennero distorte e decontestualizzate, provocando non poche polemiche.


Da allora il tema del “diritto all’acqua” è ciclicamente tornato in auge, alimentato anche da episodi di privatizzazione di riserve idriche a favore di alcune compagnie americane. In generale, la tematica è stata più volte sottolineata dalle istituzioni internazionali e da numerose ONG, ricordando la triste relazione tra emergenze idriche e crisi umanitarie, fenomeni di migrazione di massa o addirittura lo scoppio di conflitti. Sebbene nel luglio 2010 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite abbiano incluso tra i diritti umani fondamentali l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico sanitari, la garanzia di questo diritto rimane ad oggi irrealizzata per milioni di persone.


In questo frangente, il tema dei diritti umani sposa inevitabilmente quello dell’ambiente. Di fatto, la scarsità idrica è notoriamente legata ai cambiamenti climatici: il progressivo surriscaldamento del pianeta ha infatti ridotto la capacità di stoccaggio e immagazzinamento dell’acqua potabile da parte di montagne e ghiacciai. Inoltre, negli ultimi decenni, ha fortemente contribuito l’eccessivo sfruttamento delle – già scarse – risorse idriche da parte del settore primario e secondario, aggravando ulteriormente la situazione.


Eppure, nelle scorse settimane, non ha riscontrato forte interesse l’annuncio del CME Group – leader mondiale del mercato dei derivati – in collaborazione con Nasdaq – la National Association of Securities Dealers Automated Quotation, indice dei principali titoli tecnologici – relativo al lancio di un nuovo contratto futures sul Nasdaq Veles California Water Index (NQH2O). Si tratta dunque di contratti a termine standardizzato, facilmente negoziabili in borsa, in cui ci si impegna ad acquistare un bene o servizio entro la scadenza prefissata, ad un prezzo preventivamente stabilito. Ciò significa che entro la fine dell’anno, l’acqua potrà essere oggetto di speculazione finanziaria, quotandosi in borsa.


L’impatto mediatico di questa grande novità è ancora molto basso, nonostante il peso della tematica. Come stima infatti lo stesso CME Group “entro il 2025 quasi 2/3 della popolazione mondiale dovranno affrontare gli effetti dell’emergenza idrica”, tema che rappresenta un rischio crescente non solo per la comunità, ma anche per le imprese. A tal proposito, lo sviluppo di strategie di gestione del rischio diventa ogni giorno più rilevante. In risposta a tale necessità il CME Group propone come strumento di risk management questo “innovativo contratto idrico, in partnership con Nasdaq, per aiutare gli utenti finali e altri partecipanti ai mercati delle materie prime essenziali, tra cui agricoltura, energia e metalli”. I futures sono infatti pensati come strumenti preventivi sia verso la scarsità per l’acquirente che per la sovrabbondanza per il produttore ed il loro prezzo varia al variare dell’attività a cui è legato il bene o servizio in questione.


Secondo Il CME Group, l’introduzione di contratti futures aiuterebbe aziende agricole, imprese e municipalità a proteggersi in caso di un’improvvisa carenza della risorsa. La società riporta quindi l’esempio dello stato della California, dove circa il 40% dell’acqua consumata è destinato all’irrigazione di colture, spiegando come l’introduzione di futures permetterebbe al produttore di pianificare anticipatamente il costo dell’acqua e migliorare la gestione dei rischi economico-finanziari legati alle eventuali fluttuazioni del prezzo. Si andrebbe inoltre a garantire maggiore trasparenza in merito all’uso della risorsa idrica.


Non sorprende quindi la scelta di lanciare i futures proprio in California, che a causa di incendi e siccità ha recentemente toccato con mano i costi dell’emergenza idrica. Nei periodi di scarsità, infatti, gli agricoltori sono costretti ad acquistare acqua da terzi, determinandone il conseguente innalzamento del prezzo di mercato. Con i futures sarà invece possibile garantire maggiore sicurezza, fissando attraverso il Nasdaq Veles California Water Index un prezzo spot di riferimento settimanale relativo ai diritti sull’acqua in California. Il primo futures è stato scambiato nel mercato californiano a 496 punti indice, pari a 496 dollari per 1,2 litri circa. Il CME Group mira ora ad espandersi in altri mercati, trasformando i futures in benchmark, per valutare e prevenire eventuali emergenze legate alla scarsità dell’acqua nel mondo.


I vantaggi della strategia sono chiari, ma riguarderebbero solo chi deciderà di scambiare i futures in borsa. Inoltre, è plausibile ipotizzare una futura speculazione finanziaria sul prezzo di vendita dei futures, soprattutto se si considera il crescente valore di un bene che diventa ogni giorno più raro. Non a caso tra gli investitori interessati alla quotazione in borsa dell’acqua compare Michael Burry, divenuto famoso per aver investito contro i mutui subprime edilizi. Il trader – che ha ispirato il libro The big short – da anni dichiara di essersi interessato al settore idrico, accumulando terreni con annesse risorse idriche.


Sui rischi legati alla quotazione dell’acqua si era già espresso Frederick Kaufman, professore presso la Graduate School of Journalism della City University of New York. Secondo Kaufman, l’attuale sistema finanziario avvantaggia le banche d’investimento che controllano i mercati tramite i derivati finanziari, aumentando i prezzi dei beni. Se è già possibile scommettere su neve, vento e pioggia grazie ai contratti futures, la quotazione dell’acqua permetterà i banchieri di scommettere anche su crisi idriche, per ragioni di profitto. Secondo lo studioso americano il tema della scarsità dell’acqua non è risolvibile affidandosi all’instabilità dei mercati e alle fluttuazioni legate agli umori degli azionisti. Kaufman ricorda inoltre come in passato la quotazione di beni primari – mais, soia, riso, grano – abbia svantaggiato agricoltori e consumatori, generando importanti crescite dei prezzi di questi beni. Allo stesso modo, sottolinea, ogni tentativo messo in atto in passato per tentare di regolamentare dei derivati, anche nel settore alimentare, è sempre naufragato. Nell’intervista Kaufman si dichiara contrario anche al supporto operato da parte di quei gruppi ambientalisti che vedono nella scommessa finanziaria una possibile strategia per salvare il pianeta, nella convinzione che dare un prezzo all’acqua possa ridurne lo spreco.


Sebbene ad oggi la questione riguardi ancora esclusivamente il mercato californiano, nulla impedisce di immaginarne una diffusione a livello globale di questi futures, con conseguenze in grado di interessare intere comunità ed ecosistemi. Eppure sul tavolo sono presenti da anni progetti alternativi virtuosi, in grado di offrire strategie interessanti. Un buon esempio è quello del sistema sviluppato nel bacino idrico di Ruhr, in Germania, in cui la risorsa idrica viene gestita da un ente che riunisce città, contee, industrie e imprese della regione attraverso un sistema di rappresentanza, per un totale di 543 associati. Il progetto della Ruhr Association presenta certamente maggiori complessità di realizzazione in scala globale e minori possibilità di profitto rispetto alla quotazione in borsa, ma con minori rischi e criticità. Resta di certo che l’azione del CME Group ha riaperto il dibattito sul tema, stimolando non solo polemiche ma anche la ricerca e valorizzazione di soluzioni alternative alla gestione di questa fondamentale risorsa.


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