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Islamofobia in Italia: la necessità di una nuova prospettiva.

Si riapre il dibattito sui decreti sicurezza, ma l’Italia non ha ancora definito una strategia per prevenire il diffondersi di islamofobia e crimini d’odio.



Un po' di storia

L’Italia è storicamente considerata un crocevia di popoli e culture, anche grazie alla sua posizione strategica nel mediterraneo. Eppure questo suo passato non è stato sufficiente a mettere il nostro paese al sicuro da un sentimento che, negli ultimi anni, è diventato sempre più diffuso: l’islamofobia. Sebbene il termine per indicare questo fenomeno sia estremamente recente, le sue radici affondano in un passato ben più antico e complicato, che va al di là della moderna idea di scontro tra civiltà. Di fatto, la narrazione storica delle relazioni tra il mondo occidentale e quello orientale mette in evidenza una struttura ciclica, basata sul continuo alternarsi, nel corso dei secoli, di rapporti prosperi e pacifici a periodi di conflitto. In particolare, tra la fine del XV e il XVII secolo si è consolidata l’associazione tra popolo turco e credenti musulmani, traslando nel secondo gruppo molti degli stereotipi e pregiudizi legati al primo. L’Islam ha acquisito quindi, agli occhi degli occidentali, quelle caratteristiche negative in grado di far percepire ogni musulmano come una potenziale minaccia.


Questa frattura è stata in qualche modo rafforzata dalla tendenza orientalista, che, sebbene volta alla comprensione e conoscenza – anche militarmente strategica – delle culture orientali, ha fornito le basi teoriche a molte dottrine razziste sviluppatesi alla fine del XIX secolo. È importante specificare che molti studiosi del tempo consideravano tali dottrine come un metodo di analisi socioeconomica e geopolitica, delle vere e proprie chiavi di lettura per studiare il passato, comprendere il presente e migliorare il futuro. Tuttavia queste teorie hanno contribuito alla diffusione di sentimenti xenofobi e razzisti nel mondo occidentale al punto che, durante i primi decenni del ‘900, erano ampiamente penetrate nella coscienza comune e ritenute legittimamente diffuse.

La guerra avrebbe dovuto indebolire questi sentimenti, ma di fatto è avvenuto l’opposto. L’accentuarsi delle differenze sociali, unita al generale clima di paura ed odio, hanno trascinato il mondo in uno dei suoi capitoli più bui della sua storia. Solo alla fine della seconda guerra mondiale, il desiderio di non ripetere gli orrori del passato sembrava aver sconfitto ogni sentimento di odio e razzismo, cedendo il passo ad una nuova prospettiva di tutela dei diritti umani e di uguaglianza.


Cos’è l’islamofobia

Negli ultimi decenni, il termine islamofobia è diventato estremamente comune, non solo nel dibattito accademico, ma anche all’interno del linguaggio politico e dei media. La ragion d’essere di tale fenomeno va però indagata alla radice delle relazioni cristiano-musulmane, in un periodo in cui la paura e l’odio nei confronti dell’Islam erano già presenti. Di fatto, la rappresentazione caricaturale e negativa deli fedeli musulmani all’epoca delle crociate persiste tutt’ora. Nel corso dei secoli, tale percezione ha amplificato sé stessa, autodefinendosi ancor prima della nascita del termine islamofobia. Ha raggiunto connotazioni discriminatorie specifiche nei confronti della popolazione musulmana solo alla fine della guerra fredda, fino a diventare un concetto estremamente contestato dopo gli eventi dell’11 settembre. Si è persino supposto che alcuni gruppi islamisti abbiano coniato il termine di loro mano, con l’intento di incitare l’odio verso l’Occidente. Altri ancora hanno tentato di attribuirsene l’invenzione.


Di certo sono state fornite numerose definizioni per questo fenomeno, ma alla domanda “cos’è l’islamofobia?” non è ancora stata fornita una risposta univoca ed il dibattito resta aperto. In generale, il termine islamofobia identifica un fenomeno politico, basato un meccanismo top-down, che tende a ripresentarsi in situazioni di forte criticità – sia essa sociale, economica o politica. L’instabilità, infatti, genera la necessità di trovare una spiegazione, un capro espiatorio, una chiave di volta per comprendere il problema. In un simile contesto, l’islamofobia si adatta perfettamente al gioco comunicativo dei media, nonché alle strutture di alcuni gruppi partitici, che recuperano categorie e slogan di base razzista a supporto della loro propaganda. L’associazione di tali categorie ai sentimenti islamofobi produce una distorsione del messaggio finale, generando più odio e paura. Tale circolo vizioso crea una sorta di “comfort-zone” per coloro che sono intenzionati a sfruttare il messaggio. Il fruitore, infatti, si sente rassicurato all’idea di poter razionalizzare l’instabilità, imputando la situazione esistente a qualcuno o qualcosa. La radicalizzazione dell’immagine negativa dell'Islam nelle coscienze occidentali è solo l’ovvia conseguenza di tale manipolazione comunicativa.


Per secoli l’immagine dell’Islam sia stata erroneamente rappresentata come una, unica, inseparabile. Sono stati versati litri di inchiostro per descrivere le caratteristiche negative di coloro che appartengono a questo credo, rafforzando la percezione di una minaccia imminente e concreta. Nonostante il massiccio lavoro svolto negli ultimi decenni da diversi autori nel tentativo di correggere tale rappresentazione, l’islamofobia continua a presentare le caratteristiche tipiche del XIX secolo. I tentativi di riabilitare l’immagine musulmana nel mondo occidentale, infatti, continueranno ad essere vani fintanto che si continuerà a considerare l’Islam come nemico dell’Occidente. A tal proposito, il dibattito accademico dovrebbe cercare di coinvolgere non solo le élite intellettuali e politiche, ma anche la società civile in questo fondamentale lavoro di correzione e ricostruzione. Per sbarazzarsi della percezione negativa del popolo musulmano è infatti necessario rompere il suo legame con l’entità monolitica, violenta e pericolosa che è stata raccontata fino ad oggi, ricostruendone un’immagine più veritiera e concreta.


Una nuova prospettiva

Lo scenario politico italiano, caratterizzato dalla forte instabilità, vede i partiti impegnati in una costante campagna elettorale. In questo contesto, temi come quello della migrazione forniscono terreno fertile a gruppi di destra ed estrema destra. In particolare, il messaggio islamofobico rappresenta una chiara strategia di marketing politico, che intrecciato a tematiche sociali ed economiche, definisce nuove dinamiche cognitive, rendendo i sentimenti xenofobi, razzisti e discriminatori se non legittimi, quantomeno accettabili. Eppure gli attori pubblici non sembrano consapevoli dell’impatto sociale che le loro parole e azioni possono avere sulla popolazione qua nel trasmettere messaggi anti-islamici. Stando ai dati 2019 del EIR – European Islamophobia Report, questo tipo di comportamenti ha già manifestato le sue concrete conseguenze: si è infatti verificato un aumento del numero di attacchi verbali e fisici, sia nella vita reale sia nella dimensione online, in uno scenario legislativo ancora privo di tutela dei crimini d’odio.


In generale, i dati relativi alla situazione italiana sono estremamente contraddittori. Gli italiani fanno sempre più fatica a distinguere il concetto di percezione da quello di realtà, partecipando – consciamente o inconsciamente – al processo di costruzione di pregiudizi e stereotipi contro gruppi etnici o religiosi percepiti come “stranieri”. Di fatto, tali distorsioni si traducono nella percezione di mancanza di sicurezza, generando così sentimenti di paura e sfiducia che a loro volta producono un generale senso di maggiore insicurezza, in un circolo vizioso molto difficile da arrestare.


Questa tendenza ha anche prodotto effetti concreti nel sistema legislativo italiano. I decreti sicurezza, fortemente voluto dall’allora Ministro Salvini, ne rappresentano la concretizzazione perfetta. A più di un anno dall’introduzione di queste politiche a firma Lega, gli effetti però sono allarmanti: dall’aumento degli irregolari alle gravi implicazioni sul sistema di accoglienza dei migranti, i decreti sembrano aver rispettato le previsioni di coloro che ne criticavano l’approvazione e di aver contribuito a rafforzare le strutture delle organizzazione criminali che sfruttano il fenomeno delle migrazioni. In pratica, quella che doveva essere una strategia per garantire la sicurezza, si è rivelata un solido passo verso una maggiore insicurezza.


A tal proposito, nel mese di gennaio il Premier Conte aveva reso noto il suo interesse nell’apportare modifiche ai decreti sicurezza, ma questo progetto era stato accantonato a causa dell’emergenza sanitaria da COVID-19. Nelle prime settimane di giugno il Primo Ministro ha pubblicamente dichiarato di essere all’opera, con l’aiuto della Ministra Lamorgese, per approvare una serie di modifiche ai decreti nel minor tempo possibile. In risposta, il Senatore Salvini ha dichiarato di essere pronto ad organizzare una raccolta firme per bloccare la cancellazione dei decreti. Di certo, trattandosi di uno dei provvedimenti simbolo del governo Lega-M5S, la loro modifica produrrà non pochi attriti politici.


Resta il fatto che l’Italia si trova a dover affrontare la complessa sfida di inclusione ed integrazione in un contesto socio-economico di svantaggio. Sebbene l’attuale governo abbia ereditato un paese estremamente bisognoso di stabilità, il problema dell’islamofobia non può essere risolto rafforzando i controlli, né tantomeno irrigidendo le coscienze. I decreti sicurezza hanno d’altronde mostrato quanto sia semplice trasformare una percezione in una reale minaccia.


La vera urgenza italiana è la necessità di ripensare il suo rapporto con la diversità, smantellando i meccanismi di disinformazione e ogni forma di narrazione parziale dei media. In questo scenario è essenziale costruire – o ricostruire – un’immagine coerente della comunità musulmana, eliminando quei costrutti mediatici che hanno contribuito negli anni alla diffusione dell’odio e della paura. Solo in questo modo sarà possibile sviluppare un’adeguata critica del contesto socio-politico italiano, comprendendo che la riaffermazione dei diritti umani fondamentali, come quelli sociali e religiosi, è l’unica cura possibile al male dell’islamofobia.


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