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Il potere politico al tempo dei social media

La recente sospensione degli account Twitter e FB di Donald Trump ha riaperto il dibattito sul ruolo dei social nell’arena politica.



Nella sua opera La politica come professione il sociologo e filosofo Max Weber definisce “politiche” tutte quelle azioni che, messe in atto dal singolo individuo o da un gruppo, siano in grado di generare un trasferimento di potere. Di conseguenza, non si riferisce esclusivamente a dinamiche o attori tipici della sfera politica, ma ricomprende anche soggetti socio-economici. Sono dunque “politiche” in tal senso anche quelle scelte operate dai singoli all’interno del proprio gruppo familiare, sociale o lavorativo se finalizzate all’acquisizione o conservazione di una qualche forma di potere.


Le sfere della politica comunemente intesa e della società sono legate da una co-dipendenza che risulta particolarmente evidente nelle fasi di stress del potere politico – contesa elettorale, emergenza amministrativa, instabilità della leadership. Tale legame si è fatto più evidente negli ultimi decenni, grazie allo sviluppo tecnologico e alla creazione di nuovi strumenti in grado di generare opportunità e semplificazioni agli attori politici, modificando radicalmente le dinamiche di potere della società moderna. Basti pensare come in passato si tendesse a minimizzare il ruolo della televisione nella produzione di consenso, mentre ad oggi numerosi esponenti politici si affidano a team di esperti per veicolare contenuti tramite i social media.


L’uso massivo di queste nuove tecnologie ha però generato delle vulnerabilità. Sebbene il 48% degli europei faccia quotidianamente uso dei social media, utilizzi scorretti di queste piattaforme sono diventati sempre più diffusi. I nuovi strumenti digitali hanno contribuito all’aumento della partecipazione e della rappresentanza politica, ma hanno anche semplificato le dinamiche di diffusione di fake news, messaggi faziosi, inaffidabili o generati a scopo manipolativo. Di fatto, l’elevato numeri di input non semplifica il processo di ricerca delle informazioni, ma al contrario genera frustrazione e confusione nel fruitore. Secondo il rapporto “Technology and Democracy: understanding the influence of online technologies on political behaviour and decision-making” la capacità individuale di prendere decisioni politiche informate è stata ridotta dalla fruizione quotidiana dei social media, che generano impatti rilevanti sulle nostre strutture democratiche. I ricercatori spiegano infatti come gli algoritmi sviluppati per queste piattaforme siano ormai diventati estremamente abili nel catturare e mantenere la nostra attenzione. Ad esempio, l’algoritmo di YouTube è in grado di determinare il 70% del tempo trascorso sulla piattaforma mentre Facebook, con l’analisi di circa 300 like, può prevedere le preferenze dell’utente con maggiore precisione del suo partner.


L’analisi dei dati, il microtargeting, la cura dei contenuti basata sugli algoritmi, tutti questi strumenti stanno progressivamente trasformando l’arena politica, dettandone agenda e tempistiche. Dalla prima campagna elettorale di Obama, passando per la nostrana evoluzione del Movimento 5 Stelle, fino alla recente sospensione dell’account Twitter del Presidente Trump, l’uso strategico dei canali mediatici digitali si è rivelato determinare nel condannare o far trionfare un attore politico. Queste piattaforme possiedono inoltre una rilevanza strategica anche nella diffusione di messaggi fuorvianti, strettamente legato alla generazione di consenso. L’uso di fake news permette infatti un generale appiattimento del messaggio politico, che si riduce spesso a rapidi spot propagandistici, se non ad attacchi rivolti alla controparte. Di fatto, in uno scenario compromesso da una sovrastimolazione informativa, la banalizzazione e la polarizzazione dei contenuti sono inevitabili. Di conseguenza, questo uso scorretto dei social non sta contribuendo positivamente all’evoluzione ed il rafforzamento delle democrazie moderne. Sta al contrario amplificando la distanza tra le dinamiche che regolano il mondo politico e le esigenze della società reale.


Il “caso Trump” è un ottimo esempio di come l’abuso di questi strumenti venga ormai ampiamente tollerato, al punto da spingere molti a chiedersi se la sospensione temporanea degli account di Twitter e Facebook del Presidente degli Stati Uniti non siano una forma di illecito, una violazione delle libertà di espressione. Bisogna però tenere in considerazione che il Presidente Trump aveva, in passato, più volte violato le norme di utilizzo delle piattaforme, utilizzandole come canale di diffusione di messaggi che incitavano a violenza, razzismo e islamofobia. In passato i numerosi post controversi erano però stati tollerati da entrambe le piattaforme. Come spiegato da un portavoce di Twitter durante un’intervista per The Verge, ciò era stato possibile perché le piattaforme riservano maggiore libertà ad alcuni utenti, in quanto i loro contenuti sono considerati “di pubblico interesse”. Dunque il Presidente Trump hanno goduto per anni di una più alta soglia di tollerabilità, fino a quando le dinamiche di potere non sono cambiate.


Il fenomeno di “usura della leadership” ha infatti colpito anche Trump, che con il concludersi del suo mandato ha visto tramontare anche quei privilegi ad esso legati. Lo stop alle donazioni politiche da parte di Facebook, Google e Microsoft ha ulteriormente contribuito a chiarire come tale scelta sia riassumibile nella volontà di “abbandonare la nave che affonda”. D'altronde le piattaforme social restano pur sempre dei meri strumenti pensati per generare un profitto economico e non per assecondare le dinamiche politiche – lecite o illecite che siano.


A tal proposito è intervenuta anche la Cancelliera Angela Merkel, definendo l’episodio “una problematica violazione della libertà di parola”, mantenendosi però coerente con l’attuale linea politica europea in merito a ruolo e responsabilità dei social. Di fatto, l’Europa è da anni impegnata nello sviluppo di strumenti in grado di regolamentare la fruizione di queste piattaforme, richiedendo alti livelli di trasparenza e tutela degli utenti. Sono già state messe in campo numerose misure in grado di proteggere i consumatori e limitare la diffusione di contenuti mendaci o violenti. In particolare, negli ultimi mesi l’Unione si è adoperata per rimuovere contenuti disinformativi relativi alla pandemia da Covid-19 presenti sulle piattaforme YouTube e Facebook. L’approccio europeo all’uso dei social è sicuramente più stringente di quello statunitense e volutamente legato al rispetto delle responsabilità da parte dei singoli e della piattaforma stessa. Ad oggi i limiti ad ulteriori passi avanti in ambito normativo sono principalmente dovuti alla reticenza delle piattaforme nel sottoscrivere patti maggiormente stringenti con le autorità europee.


L’attenzione europea per i contenuti a cui vengono esposti i suoi cittadini può considerarsi una prima forma di medicina alle distorsioni prodotte negli anni attraverso un uso scorretto di queste nuove tecnologie. La tutela delle libertà individuali non può infatti prescindere quella dei principi su cui si basano le nostre democrazie, quegli stessi principi a cui oggi le dinamiche di potere restano ancora sottomesse. D’altronde, per citare Evgeny Morozov “i social network possono aiutare a spodestare un dittatore, non a costruire una rivoluzione, perché per garantire forme efficaci di cambiamento sociale è necessario rimanere calati nella realtà”.


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