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G20 italiano: il rilancio del multilateralismo

L’Italia si prepara alla presidenza del G20, puntando sulla promozione del multilateralismo come risposta ai temi globali.



L’evoluzione del G20

Il Gruppo dei 20 (o G20) è un forum nato nel 1999 a Berlino in cui i governatori delle banche centrali e i ministri delle Finanze dei maggiori Paesi del Mondo ebbero modo di confrontarsi su tematiche di natura economica. Sebbene durante i primi vertici la crisi finanziaria asiatica – e la relativa esigenza di una risposta globale – fu uno dei temi centrali, per dieci anni le consultazioni non produssero un effettivo coordinamento delle politiche degli Stati partecipanti. Solo a seguito della crisi del 2007/08 il G20 divenne un evento di effettiva concertazione politica e strategica.


Di fatto, durante il summit del 2009, tenutosi a Pittsburgh, si decise di trasformare il G20 in un appuntamento regolare, un forum in cui sviluppare un coordinamento economico e finanziario internazionale. Da quel momento, i successivi summit iniziarono ad includere nel dibattito anche tematiche differenti da quelle di natura prettamente finanziaria, rafforzando il ruolo ed il prestigio dell’evento. A partire dal 2010 vennero infatti coinvolti i capi di Stato e Governo ed i rappresentanti di altri Ministeri, con lo specifico intento di dare una risposta comune alla crisi economica di quegli anni. Di fatto, l’opera di rilancio economico globale messa in atto produsse uno stimolo di quasi 700 miliardi di dollari (circa all’1,1% del Pil mondiale di quel periodo) e l’avvio di una riforma della struttura finanziaria internazionale. L’agenda del G20 venne ampliata, includendo di volta in volta nuove tematiche come quelle legate alla globalizzazione, l’inquinamento, le migrazioni, il clima, l’avvento delle nuove tecnologie, le risorse naturali o le energie rinnovabili. Vennero inoltre creati degli Engagement Groups supportati dall’opera di analisi di think tank, imprese e centri di ricerca.

Questo nuovo formato presentava però delle criticità: l’aumento di tematiche, incontri, o degli stessi Engagement Groups produsse una dispersione dell’impegno politico, evidenziando le divergenze e le difficoltà decisionali. La necessità di raggiungere un consenso portò al progressivo indebolimento degli obiettivi fissati, che assunsero tratti sempre più generici, con ovvie conseguenze per i risultati. In particolare, le crescenti tensioni tra grandi potenze mondiali, aggravate da sentimenti interni di tipo nazionalista e populista, rallentavano i processi decisionali volti alla ricerca di strategie globali condivise. Tale dinamica vede oggi una chiara esemplificazione nell’atteggiamento ostruttivo del Presidente degli Stati Uniti Trump, il quale ha più volte ostacolato l’opera di cooperazione internazionale. Come risultato, la fiducia riposta nell’approccio multilaterale di cui il G20 si fa portatore continua a perdere terreno.


Il G20 italiano

La pandemia globale da Covid-19 rende estremamente evidente la necessità di risposte economiche, sociali e sanitarie coordinate e di stampo globale. Per tale ragione il G20 del 2021, ospitato dall’Italia, si presta a non poche aspettative ed interrogativi. In particolare, la forte pressione legata a mesi di prolungato rallentamento delle attività economiche rende urgente una strategia concreta. In passato il G20 si è dimostrato in grado di rispettare i numerosi impegni fissati, ma l’attesa edizione 2021 richiederà ai rappresentanti degli Stati partecipanti la capacità di superare le attuali divergenze, operando politiche incisive orientate ad un futuro che non guardi solo al breve periodo.


Questa grande sfida mette inevitabilmente l’Italia, a cui spetterà la presidenza del G20, sotto i riflettori dell’arena internazionale. A tal proposito, durante il webinar “Reframing Goals and Priorities of the G20 Agenda in a Post-COVID 19 World” organizzato dallo IAI, l’ambasciatore Pietro Benassi ha presentato le linee programmatiche, dichiarando l’intenzione dell’Italia a “guardare al di là della crisi” per focalizzarsi su investimenti relativi a digitalizzazione, cambiamenti climatici, energia rinnovabile e commercio internazionale. La linea italiana promuove dunque una ripresa focalizzata sulla resilienza e sostenibilità, riassumibile secondo l’ambasciatore nelle tre parole “persone, pianeta e prosperità”. In particolare, il digitale, elemento cruciale sia per il rafforzamento dei sistemi finanziari e sanitari sia per la promozione di benessere sociale e cultura, ricoprirà un ruolo centrale nel summit. D’altronde il supporto all’innovazione tecnologica garantisce un senso di continuità con l’azione del precedente G20 ed una certa coerenza con l’Agenda 2030 europea.


La presidenza italiana avrà inoltre l’onere di contribuire attivamente al rafforzamento del G20, promuovendo lo strumento del multilateralismo anche attraverso iniziative riguardanti l’Africa. La pandemia ha infatti mostrato come l’elevato grado di interconnessione sia in grado di diffondere le fragilità di alcune aree del mondo all’intero sistema. Attraverso strategie di rilancio economico dei paesi africani, sarà quindi possibile correggere eventuali debolezze del commercio internazionale, giovandone tutti. Per citare la Vice Ministra Del Re “in questi tempi complessi, la cooperazione internazionale si conferma come lo strumento principale a nostra disposizione per affrontare le tematiche globali. Il multilateralismo efficace è la strada da seguire e come prossima presidenza del G20 siamo coscienti della responsabilità che l’Italia avrà nel promuovere gli sforzi multilaterali. […] il G20 può rappresentare un foro internazionale rilevante per definire misure che assicurino che i Paesi vulnerabili siano parte della ripresa socio-economica”.


Verso una strategia globale

Il multilateralismo promosso dall’opera del G20 è stato progressivamente messo in dubbio e screditato, anche a causa del crescente sentimento di nazionalismo che ha spinto, negli ultimi anni, numerosi governi ad attuare la narrativa del “my country first”. La crisi della leadership occidentale, le divisioni interne alle grandi potenze ed i continui scontri con le forze orientali emergenti hanno trasformato la sfiducia nel modello multilaterale in una realtà tangibile. Eppure, in un mondo sempre più interconnesso, l’agire da soli può definirsi solo anacronistico. Questa forma di recessione politica è stata definita da Ian Bremmer come condizione G-zero, uno scenario in cui la legge del più forte è l’unica a contare davvero. Il declino del multilateralismo si accompagna inevitabilmente a quello delle organizzazioni multilaterali, basate su uno spirito cooperativo che gli Stati hanno sempre più difficoltà a riconoscere.


Eppure, l’assenza di questo strumento renderebbe ingestibili molte sfide moderne che, generalmente caratterizzate da una natura globale, richiedono soluzioni globali. Analizzando le maggiori urgenze che gli Stati si trovano ad affrontare oggi – migrazioni, terrorismo internazionale, cambiamento climatico, scarsità di risorse naturali, etc. – appare chiaro come il tema della cooperazione continui ad essere l’elemento imprescindibile. È per questa ragione che non è possibile mettere da parte lo strumento del multilateralismo che, al contrario, può ancora offrire stimoli al dibattitto internazionale e strategie di rilancio globale.

Bisogna dunque partire dalla valorizzazione di obiettivi condivisi che, attraverso il supporto ad un panorama internazionale anche frammentato in micro gruppi di lavoro, possa promuovere strategie mirate alla risoluzione di temi legati a specifiche aree. Attraverso quest’azione sarà possibile slegare i paesi e le economie minori dagli umori delle grandi potenze mondiali, ridisegnandone il ruolo sulla scacchiera internazionale. Gli effetti riguarderebbero non solo i singoli paesi, ma le organizzazioni e istituzioni internazionali che vedrebbero il loro peso crescere esponenzialmente, anche grazie alla limitazione degli irrigidimenti dei processi decisionali ad opera dei attori internazionali più forti.


Oggi il G20 ricopre un ruolo ancora più complesso di quello che ne ha caratterizzato il passato. Se in precedenza il lavoro svolto dai rappresentanti degli Stati partecipanti ai summit ha permesso la stimolazione di dibattiti e proposte sui grandi problemi globali, è giunto il momento di recuperarne quell’essenza. Il compito che l’Italia si appresta ad affrontare richiede appunto la capacità di valorizzare quello spirito collaborativo che in passato ha garantito la produzione di risposte efficaci attraverso lo sforzo olistico di più sistemi. Appare dunque evidente che l’atteso appuntamento del 2021 rappresenterà un banco di prova non solo per il Bel Paese ma anche per la sua capacità di promuovere un approccio cooperativo internazionale, tutt’altro che accantonabile.


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