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Brexit-deal sotto l’albero: raggiunto l’accordo tra Londra e Bruxelles

Dopo nove mesi di negoziati si conclude l’accordo che regolerà i rapporti post-Brexit tra il regno Unito e l’Unione Europea.



Un Natale di quarantena, quello del 2020, che verrà certamente ricordato per le limitazioni con cui è stato vissuto, ma anche per un altro episodio che potremmo definire storico: il raggiungimento dell’accordo che regolerà i rapporti commerciali post-Brexit tra Regno Unito e Unione Europea. Lo hanno annunciato nel pomeriggio della vigilia di Natale il Primo Ministro Boris Johnson e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen sui rispettivi profili Twitter.


Definito un “divorzio amichevole”, l’accordo ha richiesto oltre nove mesi di trattative. I tre temi che, a causa della loro particolare sensibilità, hanno maggiormente prolungato le tempistiche – facendo più volte temere per un no-deal – sono stati quello della regolamentazione dell’accesso dei pescatore europei alle acque britanniche, il level playing field ed il meccanismo di risoluzione delle controversie.


La difficoltà nel raggiungere accordi sul tema della pesca non è legata al suo – relativamente scarso - peso economico, bensì al valore simbolico e politico che essa assume in alcuni paesi del nord Europa come Francia, Danimarca, Paesi Bassi e anche Regno Unito. La simbologia legata al “recupero” dell’autonomia sulle acque nazionali è stata infatti una delle argomentazioni cardine della campagna elettorale a favore della Brexit, nonché uno dei temi di maggiore appealing usati da Johnson per far breccia nell’opinione pubblica inglese.


Nell’accordo si è quindi prevista una riduzione del 25% del pesce pescato da imbarcazioni europee nelle acque britanniche per i prossimi cinque anni, che potrà eventualmente essere aumentata in futuro. La richiesta iniziale prevedeva una riduzione tra il 60% e l’80% - contro il 18% dall’UE - in tre anni, ma è stato necessario cedere al compromesso. Trascorsi questi primi cinque anni di transizione, il Regno Unito riconquisterà comunque il pieno controllo sulle sue acque e l’accesso di imbarcazioni straniere potrà essere stabilito attraverso nuovi accordi commerciali. Sebbene il risultato finale possa sembrare sbilanciato a favore delle richieste europee, esso ha rappresentato una vittoria personale per Boris Johnson il quale ha dichiarato che per la prima volta dal 1973 il Regno Unito tornerà ad essere “uno stato costiero indipendente con il pieno controllo delle proprie acque”.


Inoltre, al fine di limitare eventuali episodi di concorrenza sleale, l’accordo fissa un level playing field, un livello minimo di standard ambientali, sociali e relativi ai diritti del lavoratore sotto il quale nessuna delle due parti potrà spingersi. Questo aspetto dell’accordo ha lo scopo di limitare eventuali “allentamenti” relativi alle norme sulla tutela ambientale e dei lavoratori da parte del governo britannico e prevenire episodi di concorrenza sleale ai danni delle aziende europee. Il Regno Unito potrà quindi garantire il rispetto di tali standard attraverso l’adozione di norme proprie e non più europee, sviluppando un sistema che preveda l’intervento solo successivamente al verificarsi di episodi di concorrenza sleale – e non più basato su una valutazione preventiva delle sovvenzioni come prevede la norma UE.


Qualora fosse necessario attuare un meccanismo di risoluzione di controversia, sarà possibile adottare delle contromisure per ristabilire la leale concorrenza. Tale “clausola di riequilibrio” prevede che le misure in questione vengano valutate in arbitrato nei successivi 30 giorni dalla loro applicazione, ed eventualmente compensate se ritenute eccessive o ingiuste. Infine, sul tema della governance il Regno Unito riesce a slegarsi dalla giurisdizione della Corte di Giustizia Europea, imponendo un arbitrato indipendente in caso di controversie. La Corte mantiene invece il suo ruolo di massima autorità legale per le questioni riguardanti l’Irlanda del Nord, il cui territorio continuerà ad essere soggetto alle norme del mercato unico Europeo.


L’accordo permette lo scambio di merci senza l’imposizione di dazi o quote sui beni commerciati e mantiene immutati i rapporti di collaborazione in settori di rilevante importanza come sicurezza, energia e trasporti. Viene inoltre offerto alle aziende britanniche un accesso “preferenziale” ai mercati europei, nel limite di quanto previsto dai regolamenti dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Eppure la Brexit porterà inevitabilmente a dei cambiamenti – come l’aumento di controlli alle frontiere – che potrebbero generare costi aggiuntivi per le aziende esportatrici del Regno Unito.


Nel post-Brexit si sancisce la fine della libera circolazione dei cittadini europei su suolo britannico, che a partire da gennaio 2021 dovranno dotarsi di un visto per soggiorni superiori a 90 giorni. Sempre a gennaio entrerà in vigore la nuova legge sull’immigrazione, basata su uno stringente meccanismo a punti, di cui quasi il 40% dipende dall’aver ricevuto un’offerta lavorativa da un datore britannico e circa il 18% dal disporre di uno stipendio superiore alle 25.600 sterline l’anno. Il costo stesso della domanda per l’ottenimento del visto rappresenta un elemento limitativo, aggirandosi tra le 1300 e le 2300 sterline.


Anche il programma Erasmus+ viene abbandonato, per essere sostituito dal nuovo “Turing Scheme” che secondo il premier Boris Johnson permetterà agli studenti britannici di poter studiare non solo nei miglior atenei europei, ma nelle migliori università del mondo. Viene abbandonato anche il progetto Galileo relativo alle tecnologie GPS basato sul sistema satellitare europeo.


L’accordo non regola i servizi finanziari, ufficializzando così l’uscita della City dal mercato unico dei servizi europei a fine 2020. L’accesso ai rispettivi mercati finanziari europeo e britannico verrà quindi ridefinito unilateralmente dalle due parti, producendo chiaramente una frammentazione che porterà instabilità nei sistemi bancari e finanziari, con conseguente indebolimento degli stessi.


Ad un bilancio finale, l’accordo può davvero considerarsi una vittoria per entrambe le parti. Da un lato Boris Johnson riesce a chiudere l’anno offuscando le critiche relative alla gestione dell’emergenza da COVID-19, portando a casa un risultato che aveva invece rappresentato la caduta politica del suo predecessore Theresa May. L’accordo rallegra, almeno per il momento, i sostenitori della Brexit e gli euroscettici, ma non scontenta i Labouristi che temevano l’ipotesi no-deal molto più di quella di un bad-deal.


Dal canto suo l’Europa è ben felice di poter finalmente girare pagina e dichiarare concluso il capitolo Brexit. Dopo le sfide presentate della pandemia da coronavirus, i dibattiti sul bilancio e le frammentazioni interne relative alla posizione da assumere nei confronti di Cina e Turchia, le opposizioni di Ungheria e Polonia sul Recovery Fund e le sanzioni contro la Biellorussia, questo accordo rappresenta di certo un episodio positivo. Con la chiusura della Brexit si sancisce anche quello che potremmo definire un vero e proprio battesimo del fuoco per la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen che riesce ad allontanare lo spettro di ulteriori defezioni tra i 27 stati rimasti. L’Europa post-Brexit si presenta quindi meno danneggiata di quanto si supponeva mesi fa, registrando anzi una crescita del gradimento per le istituzioni europee di circa 10 punti rispetto a quanto riportato nelle analisi del 2016.


Ora, il prossimo passo è rappresentato dalla ratifica dell’accordo da parte del Parlamento britannico, prevista per il 30 dicembre. Sebbene gli accordi entreranno in vigore con il nuovo anno, la conferma da parte del Parlamento europeo si farà attendere ancora, avvenendo retroattivamente entro i primi di gennaio.


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